Un bel giorno George Washington Carmack stava risalendo assieme a due suoi cognati indiani il Rabbit
Creek, un affluente del fiume Klondike nella regione canadese dello Yukon. Ogni tanto i tre si fermavano e
vagliavano la sabbia del fiume con il caratteristico piatto leggermente concavo dei cercatori d'oro detto
“gold pan” alla ricerca di pagliuzze quando fecero la scoperta del secolo: metallo prezioso in quantità tale
da rendere a ogni vagliata più di mezzo dollaro del tempo.
Era il 16 agosto 1896 e la notizia, diffusasi immediatamente non solo in America ma anche in Europa,
scatenò quella che venne chiamata “la febbre o la corsa all'oro del Klondike”.
In pochi giorni tutte le concessioni per la ricerca esclusiva su quel tratto di fiume vennero assegnate: non
rimase libero neppure un metro di sponda del fiume.
Nel corso dell'estate centinaia di migliaia di persone cercarono di raggiungere la regione, al punto che la
cittadina mineraria di Dawson City, da uno sparuto gruppo di edifici passò, nel giro di due anni, a una
piccola città che contava più di 30.000 abitanti.
Nel 1899 l'epopea d'oro del Klondike era però già finita, anche se molti cercatori proseguirono l'attività
fino al 1910, anno in cui la “febbre dell'oro” ebbe definitivamente termine.
E' giusto il periodo nel quale Percival Lowell, entusiasta dell'affermazione di Schiaparelli circa la presenza
di canali artificiali su Marte, si dedicava non solo alla ricerca di segni di vita marziana, ma anche a quel
pianeta ancora sconosciuto e ritenuto responsabile delle anomalie orbitali di Urano e Nettuno.
Alla fama di Dawson City contribuirà molti anni dopo anche Carl Barks creando per la Walt Disney nel
1947 il personaggio di Paperon de' Paperoni: uno scozzese di Glasgow nato nel 1867 ed emigrato prima in
America e poi nel Klondike, assieme alla massa dei cercatori d'oro.
Sarà proprio il rinvenimento nella sua concessione mineraria di una grossa pepita d'oro, chiamata per le
sue dimensioni “uovo d'anatra”, a dare inizio alla sua fortuna e alla smisurata crescita del suo patrimonio.
Per chi volesse ripercorrerne la vita, segnalo la serie speciale di fumetti dal titolo “La saga di Paperon de'
Paperoni”, che lo statunitense Don Rosa ha raccontato a partire dal 1991.
Un centinaio di anni più tardi un'altra “febbre” coinvolse gli americani, questa volta scienziati ed
astronomi, in quelli che molti considerarono “gli anni d'oro di Plutone”.
Effettivamente, se dalla scoperta di Plutone (1930) alla scoperta di Caronte (1978) passarono ben 48 anni
senza aver nulla di rilevante da segnalare se non la ricerca dell'ipotetico pianeta X e i tentativi di dare a
Plutone dimensioni e massa certe, gli anni immediatamente successivi si rivelarono ricchi di importanti
avvenimenti che entusiasmarono e mobilitarono gli astronomi di tutto il mondo: sono gli “anni d'oro di
Plutone”.
Parliamo del ventennio compreso tra il 1979 e il 1999, anche se saranno in special modo gli anni tra il
1985 e il 1990 quelli che consentiranno di aprire per la prima volta uno spiraglio di luce su questo mondo
lontano e sotto alcuni aspetti a tutt'oggi ignoto.
Questi anni saranno così importanti che la Geophysical Research Letters (una rivista scientifica
quindicinale uscita in America per la prima volta nel maggio 1974) dedicherà proprio al sistema
Plutone-Caronte il suo numero speciale uscito nel novembre 1989.
Vediamo allora di analizzare, uno per uno, tutti questi avvenimenti partendo da una premessa che bisogna
assolutamente fare: a tutt'oggi non è ancora stata osservata un'intera orbita di Plutone attorno al Sole.
La conclusione dell’osservazione avverrà solo nel 2178, quando saranno trascorsi ben 248 anni dalla sua
scoperta: giusto il tempo che Plutone impiega per una rivoluzione.
Solo allora si potrà dire di aver osservato ed annotato tutte le sue posizioni lungo l'orbita, anche se
sporadiche posizioni erano già state prese, ma inconsapevolmente, prima della scoperta effettiva fatta da
Tombaugh nel 1930.
1 - Attraversamento dell'orbita di Nettuno
Il 7 febbraio 1979 Plutone “attraversava” l'orbita di Nettuno venendosi a trovare ad una
distanza dal Sole inferiore alle 29,80 UA che rappresenta la distanza minima dell'orbita
nettuniana. In quel periodo si trovava sotto la Chioma di Berenice, tra le costellazioni
di Boote e Vergine.
Non è che questo momento sia particolarmente importante: segna solo l'inizio del suo
lento avvicinamento al perielio, una distanza più ottimale per le osservazioni da Terra
ma anche una posizione più vicina al Sole al punto da esserne “riscaldato”.
Questo, come vedremo, si rivelerà importante ai fini della comprensione della sua
composizione, sia superficiale che atmosferica.
2 - Il fenomeno delle Mutue Eclissi
Subito dopo la scoperta di Caronte (1978), l'astronomo Harrington si rese conto che
ogni 124 anni e per una durata media di 5 anni, la Terra si trova esattamente sul piano
dell'orbita di Caronte: questo avrebbe consentito di osservare continue eclissi
reciproche tra Plutone e la sua luna. Poiché Caronte orbita attorno a Plutone in 6,3872
giorni, sarebbe stato allora possibile osservare un'eclissi ogni 3,2 giorni circa e fortuna
volle che uno di questi periodi favorevoli sarebbe iniziato nel giro di pochi anni: agli
inizi del 1985 per concludersi nel 1990.
Che informazioni ci hanno dato queste mutue eclissi?
Innanzitutto, la durata dei periodi di discesa e di risalita della curva di luce sono servite
a precisare l'orientamento e le dimensioni dell'orbita di Caronte, il diametro dei due
oggetti e infine, conoscendo le dimensioni e il periodo orbitale di Caronte (nonché la
loro distanza media sulla base della separazione angolare) si è potuto definire la massa
totale del sistema che risultò pari a 1/440 della massa terrestre.
Ma le mutue eclissi sono servite anche per conoscere la composizione superficiale dei due corpi.
Come detto, le eclissi si succedevano ogni 3,2 giorni e avevano una durata che oscillava, a seconda della posizione dei
baricentri, tra 32 e 79 minuti. Il passaggio di Plutone davanti a Caronte veniva definito come “evento superiore” mentre
quello di Caronte davanti a Plutone, come “evento inferiore”. Le variazioni di luminosità osservate nei due eventi hanno
fornito informazioni che si sono rivelate interessanti, strane e quasi contraddittorie.
Nell'evento superiore, la diminuzione globale di luminosità del sistema era dell'ordine del 20%. Un calo ampiamente
giustificato e che rientrava perfettamente nella norma se consideriamo che, in base ai rispettivi diametri, la sezione
visibile di Caronte è proprio il 20% rispetto a quella di Plutone.
Più complicato fu spiegare quello che avveniva nell’evento inferiore dove il calo di luminosità era esageratamente alto:
raggiungeva il 60%. Pur considerando l'ombra che Caronte poteva proiettare sul disco di Plutone, e ammettendo che
l'ombra fosse interamente visibile dalla Terra, si poteva aggiungere al calo del 20% dovuto al disco di Caronte, un altro
20%. Rimaneva ancora da spiegare però il rimanente 20% di calo e c'era un solo modo per farlo: ipotizzare che
l'emisfero di Caronte opposto a Plutone e rivolto verso la Terra fosse molto più scuro dell'emisfero di Plutone.
I due corpi sembravano dunque presentare albedo differenti, ma anche i rispettivi spettri di luce lo erano: segno
inequivocabile di una diversa composizione superficiale. Questa diversità rappresentava una novità perché prima che
iniziassero le eclissi reciproche (dunque prima del 1985), si era sempre pensato che le composizioni superficiali di
Plutone e Caronte dovessero essere quasi simili. Ma evidentemente ci si sbagliava!
Lo studio dello spettro di luce riflessa da Plutone inizia negli anni '50 con le osservazioni di Walker e Hardie. Le loro
misure fotometriche mostrarono subito che la sua superficie non era per niente omogenea dal momento che presentava
cambiamenti nella sua luminosità apparente. La variazione di luminosità più importante risultò avere un'oscillazione
periodica di circa 6,39 giorni, indizio questo che portò a supporre che sulla superficie ci fossero zone con diverso potere
riflettente che risentivano del periodo di rotazione di 6,3872 giorni.
Quanto alle variazioni di luminosità, queste avevano un'oscillazione dell'ordine di 0,1 magnitudini, valore che negli anni
successivi aumentò fino ad arrivare a 0,3 magnitudini con le misurazioni fatte da M. Pakul dell'Università di Berlino nel
1985.
Stranamente però la luminosità globale del pianeta, negli ultimi 40 anni, era sensibilmente diminuita: un calo anche del
32%. Come interpretare allora l'aumento dell'ampiezza delle variazioni periodiche di luminosità da una parte e la
contemporanea progressiva diminuzione della luminosità globale di Plutone dall'altra?
Secondo l'opinione più accreditata il calo di luminosità del pianeta era dovuto all'elevata inclinazione dell'asse di
rotazione di Plutone: negli anni '50 era visibile dalla Terra la regione polare, dove esisteva un vasto deposito di ghiaccio
distribuito in modo uniforme, mentre negli anni '90 era visibile soprattutto la regione equatoriale, più scura e ricca di
irregolarità.
Il primo a elaborare un modello della superficie di Plutone sulla base delle misure fotometriche fu Marcialis nel 1983. A
lui seguì Marc Buie del Lowell Observatory che propose due modelli più raffinati: quello del 1987 teneva conto anche
dei primi due anni di mutue eclissi mentre quello del 1992, fatto in collaborazione con Tholen, teneva conto di tutto il
periodo dei cinque anni di mutue eclissi. Ne venne fuori un pianeta con due cappe polari di dimensioni nettamente
asimmetriche e una zona equatoriale più scura che presentava zone di albedo disomogeneo. Nel 1994 sarà Hubble a
fornire una mappa ancora più dettagliata, ma lo vedremo più avanti.
L’aumento dell'oscillazione periodica della luminosità è, invece, da mettere in relazione con l'avvicinamento di
Plutone al perielio: dunque un aumento della radiazione ricevuta a livello globale, ma soprattutto nelle regioni
equatoriali, con conseguente sublimazione della superficie ghiacciata che lasciava così intravedere la parte
sottostante più scura.
A far luce invece sulla natura superficiale di Caronte hanno contribuito, in modo particolare, tre eclissi particolarmente favorevoli verificatesi nel periodo Marzo-Aprile 1987.
Nella notte del 3 marzo 1987, dall'Osservatorio Mc Donald, venne rilevato lo spettro di Plutone mentre occultava
completamente Caronte: nello spettro erano presenti tutte le bande principali del metano. Nella notte successiva
venne invece esaminato, nelle stesse condizioni, uno spettro cumulativo del sistema immediatamente prima
dell'inizio dell'eclissi. La sottrazione, da questo secondo spettro, di quello del solo Plutone, corrispose ovviamente
a quello del solo Caronte e fornì un risultato a sorpresa: nessuna traccia di metano.
Si scoprì invece che Caronte era ricoperto interamente da ghiaccio d'acqua, interpretazione che venne confermata
il 23 aprile dal team di Marc Buie con l'Infrared Telescope Facility del Mauna Kea alle isole Hawaii.
Successivamente verrà definito che l'elemento principale che caratterizza la superficie di Plutone è il ghiaccio
d'azoto, mentre per Caronte rimarrà confermata la presenza di ghiaccio d'acqua.
Come spiegare allora l'evidente differenza tra le composizioni superficiali di Plutone e Caronte se si ammette che i
due corpi sono nati contemporaneamente e nella stessa zona del sistema solare? L'ipotesi più accreditata è che la
differenziazione sia avvenuta successivamente, a causa della massa ridotta di Caronte che ha fatto perdere metano
e azoto più velocemente rispetto a Plutone, mettendo a nudo il sottostante strato di ghiaccio d'acqua.
3 - Le occultazioni stellari
L'occultazione stellare è un evento che, seppur di breve durata,
rappresenta il metodo “classico” per scoprire se un pianeta è dotato
di atmosfera. Purtroppo però, a causa del minuscolo diametro
apparente di Plutone che rende l'occultazione non solo
estremamente rara ma anche molto difficile da prevedere con
sufficiente precisione, questo metodo è sempre stato di difficile
esecuzione.
Gli astronomi sospettavano già da tempo che Plutone potesse avere
un'atmosfera; lo studio del suo spettro, cominciato nel 1980, rivelò
inizialmente la presenza in atmosfera di metano, gas al quale si
unirono successivamente altri candidati quali azoto e monossido di
carbonio. A dire il vero, da quando si scoprì che il componente
principale della superficie è l'azoto ghiacciato, si diede per certo che
lo fosse, con una notevole percentuale, anche per l'atmosfera.
Per avere la conferma di un'atmosfera attorno a Plutone serviva però un'occultazione favorevole.
La sfida venne raccolta da Douglas Mink e Arnold Klemola qualche anno prima che Plutone raggiungesse il
perielio; nel 1985 pubblicarono le loro predizioni su una prima lista di 10 stelle candidate all'occultazione nei
cinque anni successivi. Di queste solo due si rivelarono corrette: la prima fornì informazioni poco attendibili per
lo scarso seeing, ma la seconda avvenuta il 9 giugno 1988, fornì le prime prove certe sull'esistenza di un'atmosfera
plutoniana.
Quella notte Plutone, di magnitudine 13,2, avrebbe occultato la stella P8, di magnitudine 12, nella costellazione
della Vergine. L'evento sarebbe stato visibile da un corridoio passante sull'Oceano Pacifico, a cavallo tra
Australia e Nuova Zelanda e per l'occasione James Elliot del MIT organizzò otto postazioni osservative: 7 sulla
Terra e una in volo con lui stesso a bordo del KAO (Kuiper Airborne Observatory), l'aereo della NASA
equipaggiato per le osservazioni d'alta quota, dove avrebbe potuto disporre del telescopio da 91 cm con il quale
aveva scoperto nel 1977, grazie a un'altra occultazione stellare, gli evanescenti anelli di Urano.
In quei due minuti scarsi (tanto è durata l'occultazione) gli astronomi ebbero conferma della presenza attorno a
Plutone di una sottile atmosfera.
La curva di luce ottenuta dal team di Elliot mostrò un primo accenno di atmosfera alla quota di 350 km, atmosfera
che a 50 km dalla superficie diventava più opaca. Da qui l'idea che l'atmosfera fosse costituita da due strati
distinti: uno inferiore molto opaco sovrastato da un guscio diluito e trasparente che si estende fino a 350 km di
altezza ma che qualcuno, analizzando i dati di altre postazioni, ipotizzò estendersi anche tre volte tanto.
La conferma di un'atmosfera trovò ben presto una spiegazione piuttosto logica: Plutone dopo un periodo di quasi
248 anni, stava nuovamente raggiungendo il perielio e dunque la condizione di massimo riscaldamento solare.
Plutone si presentava dunque con un'atmosfera dinamica e in forte evoluzione che sarebbe stato utile tenere controllata negli anni a venire con nuove occultazioni stellari. Quale sarebbe questa dinamica? In pratica, l'aumento di
radiazione farebbe sublimare gli strati di ghiaccio d'azoto e metano superficiale trasferendo i gas nell'atmosfera,
mentre, lontano dal Sole i gas atmosferici si raffredderebbero depositandosi sulla superficie con una “nevicata”,
ricostituendo così lo strato ghiacciato.
Considerata la rarità del fenomeno, per controllare l'evoluzione dinamica dell'atmosfera si dovette aspettare il
2002 quando Plutone occultò due stelle nella costellazione di Ofiuco. In quell'occasione venne confermata la
presenza di un'atmosfera ma ci si accorse che, a distanza di 14 anni, questa si era modificata: era completamente
scomparsa la discontinuità diventando più omogenea e nello stesso tempo era tre volte più densa.
Una spiegazione parziale potrebbe essere l'aumento di temperatura di almeno 2-3°C intervenuto attorno al
perielio: un valore importante a livello planetario; spiegazione però che dovrebbe tener conto anche del
fatto che a distanza di 14 anni la radiazione solare ricevuta si è ridotta del 6% rispetto al suo livello
massimo.
Da qui l'ipotesi secondo Elliot che ci possa essere su Plutone un'attività emissiva (geysers) simile a quella
riscontrata nel 1989 dalla Voyager 2 su Tritone.
Per quanto riguarda invece Caronte, in occasione di un suo occultamento stellare, sembra non essere stata
rilevata alcuna presenza di atmosfera.
4 - Raggiungimento del perielio
Plutone raggiunse il perielio il 5 settembre 1989. Visibile sull'eclittica tra la Vergine e il Serpente, si venne
a trovare alla distanza di 29,66 UA (4,4 miliardi di km). Benché scoperto nel 1930 era la prima volta che si
poteva osservare così da vicino in quanto l'ultima volta che si trovò al perielio fu nel lontano 1742, quasi
248 anni fa.
5 - Le prime immagini di Hubble
Il telescopio spaziale Hubble entra in funzione nel dicembre 1993 e a
distanza di sei mesi, nel giugno 1994, punta gli occhi su Plutone e
mappa la sua intera superficie con una risoluzione inferiore ai 150 km
scoprendovi almeno 12 regioni (chiare o scure) nettamente distinte,
interpretate come porzioni di superficie scoperte o ricoperte da ghiaccio
d'azoto e di metano.
Hubble ha potuto studiare anche la coppia Plutone-Caronte essendo
l'unico strumento, in quel momento, capace di risolvere senza ambiguità
i due singoli corpi, cosa che successivamente, grazie all'utilizzo di
ottiche adattive, sono stati in grado di fare anche i grandi telescopi
terrestri.
In quell'occasione, le immagini di Hubble hanno consentito di
determinare la posizione del centro di massa del sistema, e poiché la
distanza del centro di massa dai singoli corpi è inversamente
proporzionale alla loro massa, si è potuto calcolare che Plutone è 11 volte più massiccio di Caronte.
6 - Nuovo attraversamento dell'orbita di Nettuno
In data 11 febbraio 1999 Plutone, visibile tra Ofiuco e Bilancia, attraversò di nuovo l'orbita di Nettuno, riprendendosi il primato di pianeta più
lontano del sistema solare (primato che aveva perso temporaneamente
nel febbraio 1979) e tuttora è in lento ma continuo allontanamento dalla
Terra e dal Sole.
Noi però abbiamo con lui un appuntamento importante: lo incontreremo
nel luglio 2015, quando la New Horizons lo avvicinerà nel suo ultimo
fly-by di missione.
Solo allora le sofisticate attrezzature che porta a bordo ci forniranno
dettagli precisi della sua superficie e della sua composizione
atmosferica.
Si tratta di aspettare soltanto 3 anni e mezzo e poi Plutone ci rivelerà
finalmente il suo vero volto.
Walter Pilotti